Questa è la storia di M, una signora di circa sessant’anni che viveva in una situazione di grave degrado e deprivazione. La signora M era, ed è, una paziente psichiatrica, con problemi anche con l’alcool, seguita dal CSM di zona per quello che probabilmente è un disturbo schizofrenico, Della sua storia precedente si sa che è stata spostata e che ha avuto tre figli, tutti dati in affidamento. Al momento della presa in carico, la signora M viveva da sola in un piccolo appartamento di proprietà, dove nessuno aveva potuto avere accesso fino ad allora. I figli non si occupavano di lei.

Viveva barricata in casa, non si lavava, non lavava la propria biancheria, non puliva l’appartamento Gli unici rapporti che, per così dire, intratteneva erano con i piccioni sul suo balcone. In questa situazione mi viene affidato il caso. Il PAI prevedeva alcuni passaggi settimanali si può ben immaginare cosa abbiamo trovato per sporcizia e disordine, anche se l’ostacolo più grande è stata la diffidenza e l’ostinata caparbietà della donna. Se la signora accettava passivamente di essere lavata, la cosa finiva lì: non permetteva che venisse toccato nulla in casa, la biancheria non poteva essere lavata, le finestre non potevano essere aperte per dare un po’ d’aria, gli escrementi dei piccioni non potevano essere lavati via.

Il rapporto operatrice-utente sembrava congelato in un incontro frustrante per entrambe, in cui, dopo una una doccia, dovevo sopportare di rivestire M con la biancheria e gli stessi abiti sporchi. Era chiaro che agli operatori dei Servizi Sociali del Comune, a me OSS e alla responsabile della cooperativa che la questione non era solo quella di sgretolare il muro di sporcizia e degrado, bensì si trattava di cercare di aprire un varco, un legame con la signora e il resto del mondo non è facile continuare a passare, settimana dopo settimana e accettare l’indifferenza e l’ostilità, ma anche la lentezza dei processi.

In questo contesto interviene ad un certo punto un fatto nuovo. La figlia minore di M, l’unica che manteneva qualche contatto con la madre (pur segnato da scoraggiamento e demoralizzazione), un giorno mi incontra. Siamo quasi coetanee, ci parliamo e progressivamente la figlia sembra trovare un sostegno che le permette di iniziare a pensare il rapporto con la madre in termini più positivi e con minori paure. Mi affianca talvolta nella cura materiale, ma man mano che la figlia aumenta il suo impegno nei confronti della madre, aumenta anche la relazione che, professionalmente, si stabilisce con lei. La giovane inizia a fare sempre più riferimento alla OSS, alla ricerca di un sostegno essa stessa.

La confidenza diventa presto esplicita richiesta di aiuto per sostenere una denuncia di abuso e maltrattamento da parte del padre. Si venne a creare, quindi, una situazione che – sebbene con elementi di drammaticità con usali – è particolarmente rappresentativa di ciò che accade a un operatore socio-sanitario che entra in rapporto con un nucleo familiare problematico. In questo caso la OSS dovette affrontare un impegno che, con le richieste di appoggio emotivo che riceveva, la metteva particolarmente in gioco sul piano personale e professionale (a meno di non svilire il ruolo rendendolo un semplice fatto di controllo dell’igiene e della pulizia di M).

L’aiuto dell’equipe di superamento di supporto mi consenti di mantenere una prassi corretta operatore-utente: sostenere la figlia e favorire il recupero del rapporto di questa con la madre.

Ovviamente tutto questo lavoro avveniva all’interno, per così dire della normale operatività di un OSS: seguivo le pratiche sanitarie della signora, tenevo i contatti con il CSM, mi occupavo di mantenere la casa e la signora stessa ad un livello buono di igiene e pulizia.

Nel frattempo, il CSM avvia il ricordo per l’amministratore di sostegno per la signora e la figlia ne divenne l’amministratrice. Questo comportò un uovo momento di crisi che l’OSS ha dovuto affrontare: la figlia, in quanto amministratore di sostegno, doveva farsi carico, fra l’altro, di sanare la situazione economica ma anche di mantenere il suo coinvolgimento in limiti accettabili.

Al concepimento del 65° anno dell’utente, l’OSS di occupò che valutazione UVG permettesse alla signora di essere presa in carico in quanto anziano non autosufficiente dai Servizi Sociali del Comune (se si esclude naturalmente l’interessamento del CSM per la sua competenza). Il Comune impegnò dei fondi per una parziale ristrutturazione dell’appartamento, e venne attivato un nuovo PAI (ancora in corso) a favore della signora che permette alla OSS di continuare a seguire la signora che, come prevedibile, ha sviluppato un legame molto importante con lei e con il suo percorso di normalità, non sentendosi più una degli ultimi.