Mi chiamo A, ho 45 anni e da nove lavoro per Cooperativa Solidarietà, con la qualifica di operatrice socio sanitaria. In questi anni ho incontrato tante persone, con le quali ho condiviso un cammino, un percorso avvincente di crescita e ascolto.

Il nucleo familiare B è composto dalla signora B e da suo figlio R. Alla presa in carico da parte dei Servizi Sociali nel 2006, entrambi gli assistiti vivevano in un piccolo alloggio, privo di luce e di servizi igienici, di una lavatrice e di un frigorifero. Durante le prime settimane di lavoro, mi sono occupata di accompagnare l’anziana nel vicino ospedale, per fare in modo che effettuasse delle medicazioni, per via di ulcere vascolari, che nel corso degli anni si erano diffuse in maniera pericolosa agli arti inferiori. Precedentemente, infatti, la Signora trascurava questi aspetti, compromettendo il suo stato di salute già critico. Entrando in relazione e acquistando fiducia in me, la signora B, poco alla volta, passo dopo passo, si è affidata a me, “adottandomi” come punto di riferimento.

Successivamente, in collaborazione con i Servizi Sociali, abbiamo attivato un servizio di volontariato con l’aiuto di un Centro Diurno presente sul territorio, che metteva a disposizione i propri locali con bagno assistito, riuscendo a garantire un accesso settimanale per la doccia, in modo tale da migliorare le condizioni igienico-sanitarie dell’utente. In questo modo abbiamo favorito anche una remissione della patologia di cui soffriva, nonché un potenziamento delle sue capacità residue nelle normali attività del quotidiano.

Nel frattempo però si presentava un altro problema: il padrone di casa dell’abitazione inoltrava una richiesta di sfratto e, senza perderci d’animo, con l’aiuto anche in questa occasione di un’Associazione di volontariato, in collaborazione con l’Agenzia Territoriale per la Casa (ATC), attiviamo tutte le pratiche necessarie per l’ottenimento di un alloggio popolare che veniva concesso nel giro di un paio di anni, in un’altra circoscrizione della Città di Torino.

Ricordo in particolare che durante quel periodo si era favorito l’inserimento della famiglia nel nuovo quartiere, attraverso incontri con la nuova assistente sociale. Da lei ero stata chiamata per descrivere al meglio la situazione nel nucleo familiare e tutto ciò che negli anni era stato fatto per e con loro, dagli aiuti domiciliari a quelli prettamente sanitari (accompagnamenti a visite, rapporti con medico curante, cura nell’archiviazione della cartella sanitaria, controllo e somministrazione della terapia farmacologica, monitoraggio del quadro clinico), a quelli di carattere economico (attivazione dell’intervento della San Vincenzo per il pagamento delle utenze, consegna di un pacco alimentare).

R, il figlio, si presentava come una persona fragile, ansiosa e timorosa del mondo “esterno”. Con lui ho intrapreso un cammino di sostegno, un accompagnamento verso nuove possibilità lavorative, attraverso diversi incontri con il Centro per il Lavoro. Oggi posso ammettere che alcune sue insicurezze si sono trasformate in piccole certezze. Certo nessun miracolo dietro l’angolo, ma consapevolezza di aver raggiunto uno condizione meno isolata e più soddisfacente.

Ognuno di noi ha compreso, infine, che può essere un ponte, uno strumento con il quale dare voce a diritti apparentemente negati, a chi ha svariati motivi di difficoltà o non riesce più ad esprimere e manifestare i propri bisogni a trasformare ciò che sembra oramai compromesso o limitato, in una risorsa, in una speranza di vita.